sabato 8 settembre 2007

A CHE SERVE UNA TESTA SENZA ILLUSTRAZIONI?

Le novità della mia vita sono le seguenti.
Seguo con successo la terapia dal mio analista che come prima regola prescrittiva mi dice di essere meno sarcastica.
- Non crede che tolga il diritto di differenziazione alla mia personalità?
- Non credo - risponde lui con aria sufficiente. Con il suo 110 e lode e bacio dal preside che pare sventolarmi davanti ogni volta che parlo con lui.
- Non crede che l'analisi non sia fatta per cambiare personalità considerate devianti ma che in realtà non lo sono?
- Non credo - afferma con sicurezza mentre prende da bere.
- Allora dovrei essere meno sarcastica per sentirmi accettata? Per essere come vuole mia madre? Casa, lavoro, figli? E problemi tenuti dentro dopo essere stati candeggiati nel tinello di casa?
- Credo che dovresti essere meno sarcastica quando vieni da me.
- Perché non mi ha ancora detto che il sarcasmo è un meccanismo di difesa?
- Perché non credo che nel tuo caso lo sia.
- Ah no? è sicuro?
- Sì sono sicuro.
La questione principale non esiste. Vado da questo tizio, detestabile sotto ogni punto di vista, che crede di potermi guarire da malattie che non ho e quando glielo faccio notare dice che sono sarcastica.
Ma io non ho veramente nessuna malattia.
Si faccia spazio nella mia testa, caro psicanalista, cerchi di capire perché sono qui, perché la mia famiglia ha creduto necessario che io venissi da lei. Provi a guardare più in là del suo naso, dei suoi occhiali, della sua laurea appesa al muro e non ci troverà altro che niente. Noia. Imperante sulla strada della mia vita, che mi annoio e mi circondo di interessi e di malesseri inutili e di personalità sarcastiche e poco inclini ai rapporti sociali.
Guardi dal vetro opaco del suo studio e troverà solo fumo grigio, solo strade in cui si vede poco, che portano a case normali, banali, vite vissute solo perché lasciate scorrere senza chiedersi perché e come si potrebbe fare a girare al posto di andare avanti sempre per la stessa strada.
Guardi solo lontano dal chilometro che le manca per arrivare alla stessa tavola ogni sera e non ci troverà me che mi faccio scivolare addosso ogni suo appunto, ogni sua improbabile teoria sulla mia necessità di stabilire una mia porzione nel mondo. Perché la mia porzione se non le spiace non la voglio, non me ne frega proprio nulla.
E mi scusi se faccio questo appunto finale ma di fidarmi di lei proprio non mi và. Di raccontarle nascoste vie della mia testa, principi che governano il mio modo di stare al mondo proprio non mi interessa. E se non c'è fiducia non la posso aiutare, ha detto lei la prima volta che mi ha visto. I miei problemi so bene quali sono e non ho bisogno che me li dica lei, vada a prestare servizio da chi non sa gestire la sua testa che io ancora lo so fare.
E arrivederci.

VIAGGIO NELLA TESTA DI CHLOE
Faccio un viaggio come ha detto lui, nei percorsi che governano il mio modo di pensare.
Faccio un viaggio correndo tra pali e reti che tengono dentro i pensieri che mai si vorrebbe aver fatto. Roba che fa rabbrividire ma che prima o poi chiunque pensa. Cose cattive, cose segrete, nascoste, facce segrete tra chiome di alberi scuri. Fantasmi inesplorati che oltrepasso correndo, perché il tempo non è mai tanto e soffermarsi è inutile.
Faccio un viaggio inseguendo una luce che mi porterà all'uscita della mia testa, in cui vedrò il vero percorso di analisi, faccio un viaggio mentre il mio analista dice di stare tranquilla, di pensare ai pensieri e legge con una abito bordò. Seguo con la fretta di chi scappa da ciò che non vuole vedere, direzioni opposte ai miei comportamenti, alla mia quotidianità, quelle lenzuola stese che sanno di fresco sotto un sole che ormai non esiste.
Faccio un viaggio e cado, una buca profonda, con mille pensieri che scorrono sui muri che cercano di prendermi perché con la testa vuota non ci so stare. Con le malattie che non ho, con i problemi normali costruiti su una scala di valori rovesciata. E' solo perché precipito verso il basso che poi posso risalire, che guardo con quell'occhio gonfio la parte del mondo che riesco a vedere, dal basso. Da un punto di vista preferito a quello tradizionale. La testa si svuota, picchia terra perché precipita.
Faccio un viaggio e mi ritrovo intrappolata, caduta nei pensieri comuni, con quella buca che mi ha trascinato nella parte più profonda. Con quelle parole che si sono attaccate mentre scivolavo e che mi hanno resto diversa.
Enorme in uno spazio piccolo, in una porzione del mondo ricercata ma già piccola per definizione. Con una mano che spinge per scappare da quella normalità di tendine e muri bianchi, con un piede che corre e inciampa perché l'altro resta fermo.
Arrancante nella voglia di rimanere inerte, immobile, di lasciarsi scivolare addosso la vecchiaia e lo scorrere del tempo, la sensazione per cui tutto continuerà a girare anche se lui sta fermo. Di non essere così indispensabile per tutte le altre porzioni del mondo che ora gli chiedono, perché?
Perché stai fermo? Perché se ti muovi lo fai? Perché scegli quella direzione?
Voci giudicanti dallo sguardo strabico che ridacchiano delle scelte razionali o meno, verso le quali ho un orecchio tappato e uno no. Uno che vorrebbe chiudersi e uno che ascolta con assoluta attenzione ogni forma di possibile accettazione, ogni forma di possibile ingresso all'immobilità che tanto hai desiderato.
Un passaggio segreto in un albero che porta ad una vita già prestabilita, insidiata da pratiche comuni che mal sopporto. Condivise da chi mi osserva mentre faccio quello che loro si aspettano, processata per aver commesso un errore. Errore per la loro strada dritta e pulita? Aver lasciato impronte colorate e tele distrutte su un percorso che ha solo alberi, con facce nascoste e cupe come quelle da cui sono scappata prima.
Faccio un viaggio tra grida autorevoli, tra mancanza di grandi traumi, tra sgridate comuni a chiunque corra in maniera disarticolata, a chi non vuole altro che scappare dalle mille voci che dicono cosa fare.
Da chi dice di fare questo viaggio lungo e complesso e poi ti riporta a sé senza volerti uguale a prima.

Faccio un viaggio senza la volontà di concluderlo, con il desiderio di restarci intrappolata per sempre, con griglie di pensieri che vedo familiari, consolatori, che sembrano intrecciati a spirali senza fine a chi li osserva dall'esterno, a chi pretende di trovare un inizio per arrivare ad una conclusione che non esiste. Un'autocelebrazione della propria condizione, una spirale che chiude la vita da dove è partita, dall'assenza di sensi, dal dolore profondo della schiena rotta, schiacciata dalla cattiva comprensione di un sentimento così personale.
Faccio un viaggio e corro mentre i pensieri mi vengono addosso, cercano di schiacciarmi, di entrarmi dentro come un moscerino che non esce, scivolo sull'asfalto, frano e mi rialzo solo dopo pochi secondi, solo dopo aver avuto il tempo di esaminare dall'esterno la posizione del mio corpo, la luce che batte sulla spalla ferita e livida.
Mi rialzo e corro per arrivare alla fine di un viaggio pagato caro, con l'ausilio di un solo pensiero. La corsa sulla strada lastricata di vuoto.
Faccio un viaggio e mi sveglio e sono uguale a prima, con la stessa razionalità che mi porta a dire che non ne ho bisogno di viaggi del genere, per conoscere una porzione di mondo interna a me stessa, perché il mondo è grande e si dovrebbe vederlo tutto al posto che fare viaggi dentro se stessi che poco servono a chi è rimasto per tutto il tempo su quell'albero a dormire.

3 Commenti:

Alle settembre 08, 2007 7:07 PM , Blogger lauren hynde ha detto...

esigo di sapere quando hai fatto queste illustrazioni di alice.
per il resto, c'è un grande blu a cui confessarsi, tra non molti giorni.

 
Alle settembre 08, 2007 8:55 PM , Blogger chloe byrnes ha detto...

ah no ma quale confessioni?
per carità, non vorrai che ti ammorbi con questa roba per due giorni?
Eddai.

Poi non so se ci posso venire in viaggio con te. Dipende cosa mi dice lo strizza. Credo mi debba dare una specie di permesso. Ora vediamo, poi ti faccio sapere. Ti chiamo ore pasti.

 
Alle settembre 10, 2007 2:19 PM , Anonymous Anonimo ha detto...

mio padre ci portava da piccoli dallo strizza. Perchè secondo lui mio fratello non era normale. Non è un gran bel ricordo, questa sorta di terapia familiare a cui ci sottoponeva. Poi, se lo psicologo gli diceva che era lui ad avere dei problemi nella relazione coi suoi figli, allora automaticamente diventava uno che non ci capiva niente. E si andava da un altro.

Io non riuscirei mai ad essere sincera fino in fondo raccontando cose di me ad un estraneo, credo che cercherei di dirgli esattamente quello che lui vorrebbe sentirsi dire, anche se probabilmente se ne accorgerebbe subito.
Però un mio amico ci va da anni e dice che gli serve molto. Ad ognuno la propria strategia di analisi ( cit )

 

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