sabato 28 luglio 2007

They say I got a lot of water in my brain

Quando stavo a Londra abitavo in una laterale della Queensway.
Una strada piena di negozi e ristoranti e italiani.
Mi piaceva stare lì. Vivevo con due tizi, stranieri come me. Un po’ più di me, come dicevano loro, perché venivano da più lontano. L'Italia in fondo era vicino e quando avevano scoperto che la mia amica era tornata a casa con l'autobus avevano sentenziato che l'Italia era vicinissimo a Londra. Perché vicino era qualsiasi distanza che si potesse raggiungere in un tempo ragionevole con la macchina. Certo l'Australia e il Sudafrica sono posti ben difficili da raggiungere in macchina in un tempo ragionevole.
Per arrivare al primo cancello di Hide Park la strada non è molta. Ci andavo più o meno tutte le mattine ad un orario ragionevole. Camminavo sulla strada che facevo tutti i giorni e nelle orecchie avevo sempre questa canzone.

Che mi martellava. Il mio compagno di stanza australiano aveva un cd, gli mp3 ancora non esistevano, almeno non erano così diffusi. Così mi prestava il suo lettore cd. Aveva fatto una compilation con i migliori pezzi inglesi contemporanei. Peccato che Macy Gray non è inglese. Ma lui non credo l'abbia mai saputo.
Così mi prestava il lettore cd, mi metteva questo cd chiamato semplicemente "ENGLAND" scritto con un pennarello rosso. La canzone durava poco meno del tempo che ci mettevo a raggiungere Hide Park. Il lettore era nello zaino, tiravo le cuffie verso le orecchie e le infilavo e poi premevo play. E la canzone partiva. E mi piaceva un sacco.
Poi quando verso ottobre sono tornata l'australiano mi promise che mi avrebbe regalato il cd ma ce lo siamo scordati entrambi. E ora non ho idea di dove sia finito, potrebbe essere ovunque nel mondo e forse un giorno ci incontreremo di nuovo.
L'altro ragazzo, il sudafricano con genitori inglesi, biondo con gli occhi chiari, mi disse che era inutile salutarsi, che lui sapeva con certezza che tutto quello che avevamo condiviso in quei mesi restava lì. In quella stanza e in quella città. Non si poteva avere una vita comune fuori da quel contesto. Perché siamo insieme solo ora e non altrove. Me lo disse come fosse una certezza spiazzante, una verità senza discussione. Me lo disse di fronte ad una mucca con la scopa e poco dopo scattai una foto. Che non è digitale, che era impressa sulla pellicola di un rullino vero e non divisa in mille megapixel come ora.
Poi sono tornata a casa perché dovevo fare il secondo anno di università. Il migliore di tutta la mia carriera scolastica.
Oggi ho risentito la canzone. Ho pensato a loro per un tempo considerevole durante la giornata. E alla fine, ho sorriso.
Sono andata ad una festa sulle rive del fiume Ticino. Un postaccio con sabbia posticcia. La festa era una festa hippy, una noia mortale come ogni ritrovo che si appella a torto il nome di festa. Per giunta hippy. Non ci si poteva aspettare granchè.
Broccolata in un nano secondo da un tipo con un cappello, modello cow boy. Aveva sbagliato fuoco probabilmente perché la festa western doveva essere due o tre metri più in là.
Alle settima versione dell'isola di Wight, chitarrina e voci, ho deciso di andarmene. Il tappeto su cui stavo seduta era scomodo, l'incenso con cui giocare era finito, la birra era calda e un sacco di altre cose.
Non posso nemmeno bere alcolici perché prendo antibiotici per i miei problemi soliti. La mia socialità si riduce a meno di zero se non sono nemmeno ubriaca. E inizio a detestare con partecipazione chi mi sta intorno. Se poi canti per sette volte la stessa canzone e dici che “somebody to love” è una canzone hippy allora ti detesto con immensa partecipazione.
Tornata a casa del mio amico alle 3 di notte noleggiamo un film orrendo. Di solito guardiamo grossi film trash a quell'ora ma questa volta abbiamo deciso di prendere un film che potesse avere una parvenza di serietà. Sbagliando. Chiaramente.
Così mi addormento e le zanzare mi tormentano.

Giovedì vado in Grecia per 2 settimane. Voglia di andarci rasente la nullità. Spero di ritrovarmi su un'isola con poca gente e di potermi dedicare alle mie attività preferite. Che non sono le relazioni sociali.
E poi torno il 16 e ci scappa che vi vengo a trovare. Vedremo. Se torno viva dalle isole "piene di divertimento, sole, calore e incontri facili". Recita la guida alle isole cicladi. Un vero presagio nefasto.

giovedì 26 luglio 2007

"Paura ,eh?" "Veramente , no."

detesto quei secondi prima dell'impatto con l'asfalto.
detesto vedermi passare tra le mani quei secondi in cui posso solo arrendermi all'idea che tra poco sarò a terra, e prepararmi per attutire la caduta.
era molto tempo che non cadevo dal motorino, sono almeno una dozzina di anni dalle prime volte.
la ruota è scivolata, ho puntato il tacco di destra bene a terra, raddrizzandomi, ma per poco, poi esattamente come poteva succedere a un'imbranata golfini e pettinini, sono caduta da sola, al verde del semaforo, sulla strada appena leccata dalla pioggia, intrisa di morchia.
Dodici anni fa , quando mi addobbavo a terra in stile tappeto, recitavo una roba simile a un rosario di invocazioni d'aiuto , che partivano da MAMMA, passavano per GESU', e inevitabilmente terminavano con DIO; il tutto debitamente corredato di occhi serrati e corpo morbidissimo, affatto contratto, evidentemente pronto a spiattellarsi dove il caso lo avrebbe portato.
ieri, al contrario, ho stretto i pugni e assunto la posizione da feto, nella quale ho rotolato per pochi metri. Mi sono alzata imprecando contro le macchie nere vischiose e unte che mi ricoprivano la maglia, il jeans,i nuovi sandali . La guardia giurata che è venuta a soccorrermi ha insistito che sentivo male alla coscia per la paura, e la menava con lo spavento che dovevo aver preso.
Io pensavo ai miei meravigliosi sandaletti presi a saldo non reindossabili a breve.
alla vespina che non era mai caduta fino ad allora.
al fatto che i miei jeans preferiti non sarebbero mai più venuti puliti.
E tiravo su col naso.
Ma la paura, non l'ho sentita, per niente, impegnata come ero a preparare il corpo all'incontro col terreno.
Sulla coscia ho un superematoma, a guardarci bene.
Ma non avevo affatto paura. La paura c'è in stato di pericolo, ossia quando non c'è il controllo di una situazione. Non c'era nessun valido motivo per cui dovessi aver paura, sapevo benissimo che sarei caduta, strisciata per un tot di spazio, ruzzolata per un poco, poi rialzata, poi congedata dall'allegra comitiva di salvatori.
Da dodici anni fa ad ora, la fede religiosa è in parabola discendente , il bisogno di vedere cosa sta succedendo è divenuto fondamentale, e ho imparato a reputare interamente mia la responsabilità delle mie azioni.
Il bilancio mi pare soddisfacente.
Per il resto, Parigi è stata bellissima [post in preparazione] e utile ai fini dell'energia con cui sono rientrata, i miei capelli sono troppo lunghi per come li ho sempre portati, le mie unghie idem, ho voglia di mare e di ridere, di chiudere porte lasciate troppo a lungo aperte.
Hans si è risentito mie care, mi chiede di farmi viva una volta tornata su, dalle sue parti.
Inutile aggiungere che lo farò, e che ora la mia testa sia tutta a rivolta a come fare a trovare due giorni per andare là, per vederlo, per guardarlo negli occhi e restituirmi a me stessa.
Se poi ci penso davvero, a trovarmelo davanti e guardare in quelle due noci grigie,
ho paura, tantissima. Come se ci dovessi cadere dentro , velocissimamente, senza il tempo di prepararmi, neppure sapendolo con mesi d'anticipo, neppure dopo averlo deciso scientemente.


mercoledì 25 luglio 2007

ANNEGO NEL CINEMA

Se guardi il cielo coprirsi mentre tramonta sembra finto. Sembra disegnato su una tela già azzurra e con qualche colore ad aiutare la luce a venire fuori.
Mi sono messa sul balcone con i gomiti appoggiati sul marmo. Un bambino pochi metri più in là dal retro della sua casa agitava un braccio. La mano da destra a sinistra che si scuoteva nel cielo che sembrava finto. A rimescolare i colori che erano lì ma solo per pochi minuti ancora.
Mia madre da dietro mi ha chiesto se volevo mangiare. Stava uscendo per andare chissà dove. Le ho chiesto chi era quel bambino che non avevo mai visto. Da quanto tempo quella famiglia riempiva quell'appartamento nel palazzo vuoto ancora in costruzione?
- Abitano lì da un paio di mesi. Non li hai mai visti?
- No - ho risposto, vergognandomi del mio modo distratto e approssimativo di stare al mondo. Non vedo nemmeno chi mi sta intorno.
- Lei è cubana e vive in Italia da un paio di anni. Il bambino va sempre a dare da mangiare al cane della zia.
Il bambino ha i capelli biondi come il grano e la pelle olivastra mentre agita convulsivamente la mano. Come se volesse staccarsi il braccio per tirarmelo attraverso quel cielo finto e dirmi che anche lui sta al mondo. Come me, ora e non in un altro tempo.
Perchè in fondo qualcuno ti ha alzato da quell'asfalto e lo ha fatto con delicatezza.
Se guardi il cielo oscurarsi mentre un bambino piange perchè la madre lo porta via da un balcone viene voglia di uscire ad incontrare una porzione di quel mondo che nonostante tutto ti vuole ancora parlare. Dove in fondo non è così importante.

Il concetto di amore, malgrado la sua fragilità ontologica, possiede o possedeva sino a poco tempo fa, tutti gli attributi di una prodigiosa potenza operativa. Messo su alla bell'e meglio, esso ha immediatamente incontrato il favore di un vasto pubblico, e tuttora sono pochi coloro che all'amore rinuncino fermamente e deliberatamente. Questo successo sciacciante tenderebbe a dimostrare una misteriosa corrispondenza con non si sa qual bisogno costitutivo della natura umana.
Tuttavia - ed è esattamente su questo punto che l'accorto analista si distingue dallo spacciatore di fandonie - mi guarderò bene dal formulare anche la più sobria delle ipotesi sulla natura del suddetto bisogno.
Comunque sia l'amore esiste in quanto se ne possono osservare gli effetti.

Detto ciò ci tengo a precisare che non sono una persona cattiva. Sono anche io capace di slanci di grande bontà verso il prossimo. E non tratto male la gente. Non sempre almeno. E tantomeno mi sento superiore a qualcuno.
Quindi sono tornata, anche se non ho ancora il pc.

La giornata era dolce, ma un pò triste, come spesso la domenica a Parigi, soprattutto quando non si crede in Dio.

venerdì 20 luglio 2007

Vecchio scarpone



Partiamo subito dopo aver lavorato di notte, dopo una bella colazione in pasticceria, per poi scoprire che come i bambini ero troppo emozionata per dormire in macchina, col sole poi che picchiava sulla mia canottiera nera era quasi impossibile. Ci abbiamo messo sette ore per arrivare a destinazione ( di media ne bastano quattro e mezzo ) perchè l'italiano medio la seconda quindicina di luglio, di sabato, deve partire per le beneamate ferie. Avrei giurato che non sarei mai stata tra quelli, quelli che caricano moglie bagagli bambini e cane sulla macchina e si fanno ore di fila per andare al mare. Quelli che al telegiornale piace dedicargli un servizio ogni anno, quelli dell'esodo ( che poi sono gli stessi del controesodo di fine agosto ), quelli che spendono cinque euro per un panino in autogrill dopo venti minuti di coda per andare in bagno, quelli che poi potevo benissimo essere anche io, visto che c'ero sabato su quell'autostrada e che a volte è proprio una cazzata pensare che tu non sarai mai così. Io ci ho pensato tante volte che certe situazioni mi fanno tristezza, giudico senza pensare realmente che una cosa può essere sbagliata per me ma giusta per qualcun altro, che i punti di vista non son tutti uguali. Che l'italiano medio se le eviterebbe volentieri anche lui le ore di coda se solo potesse scegliere le ferie in un altro periodo, se potesse partire di martedì anzichè di sabato, se avesse più soldi per fare un viaggio un po' più decente. Poi che il mondo è pieni di imbecilli su questo non ci piove.

Anyway.

Ero proprio felice di partire. Con lui. E quando ho rivisto le montagne ho capito che davvero questa volta tutto poteva tornare realmente a posto, le cosepotevano riprendere il loro senso.
Abbiamo camminato, dormito in rifugi in legno, mangiato dei piatti strepitosi, ci siamo attaccati con le corde alla roccia, insieme, con lui che non perdeva di vista i miei piedi per essere sicuro che li mettessi al posto giusto, abbiamo riso tanto, di gusto, ed era da tempo che non lo facevamo più.
La montagna mi piace tantissimo, pensare che prima mi chiedevo come faceva la gente a fare le ferie lì e non al mare e come al solito mi sono dovuta ricredere perchè è veramente bellissimo ed emozionante camminare tra le rocce e sulle rocce. Gli occhi ti si riposano e la mente si ritempra, in quattro giorni ho ritrovato un sacco di calma. Non torneresti più da lassù.


Non che non faccia paura camminare su strapiombi e su sentieri in cui puoi poggiare un solo piede per volta, sotto di te il vuoto, di fronte a te altre ore di cammino. E se da una parte vuoi arrivare al rifugio dall'altra non smetteresti più di camminare. Cammini e cammini, in silenzio o parlando ma la mente è sgombra, più sali più tutte le cose perdono il loro senso. Le cose di qua intendo. Lavoro, problemi, pensieri, restano a valle assieme alla macchina che hai lasciato 1000 metri più sotto. Non la sto romanzando. E' esattamente così, esattamente questa la sensazione che si ha. Puoi sentirti superfigo con un vestito nuovo, con un paio di occhiali di marca, con una macchina dapaura, col tuo cellulare che ti fa anche il caffè, ma là non c'è buccia, ci sei solo tu che cammini, piede ben saldo a terra e zaino in spalla. E davvero ti sembra impossibile di aver dato un senso a cose così stupide che un senso non ce l'hanno davvero. Perchè in fondo se fossi caduta, o se la mia corda non avesse retto mentre ero attaccata alla parete, cosa avrebbero ricordato di me?

mercoledì 18 luglio 2007

UN OCCHIO GONFIO


A cena la mia amica ha preparato la pasta.
Io ho caldo e mangerei volentieri solo dell'acqua, sotto ogni sua forma. Liquida, solida e gassosa. A pensarci bene la mia amica deve aver cucinato parecchio per questa cena e non ne capisco il motivo. La pasta nemmeno mi piace così tanto.
La conversazione si arena dopo venti minuti. Stagnata dal caldo e dalla pasta che preme sullo stomaco. Ho la sensazione che la mia amica stia per condurmi sulla strada della ritrovata vita sentimentale come se vedere le persone che ti girano intorno insieme ad altre la togliesse dal peso di essere importante. In fondo perché dovresti chiamare me se hai già lui.
Credo sia una liberazione per persone come lei sapere che altre stanno bene senza di lei. E' solitaria come me in fondo, si costringe a rapporti sociali predefiniti solo per avere l'alternativa dell'amicizia a quella della profonda solitudine.
Il suo mondo è circondato da strette di mano fugaci, da un ragazzo che forse le parla la sera mentre finisce di giocare al computer o di guardare la tv, dal lavoro in un ufficio lontano da casa. Mal pagato e con contratto che scade a settembre.
La guardo e penso che nella mia costante infelicità e disapprovazione per le pratiche sociali che circondano il mio mondo, non provo nessun sentimento positivo verso la sua vita.
Vorrei che uscissimo da quell'appartamento in affitto che trasuda tristezza. Che spinge dalle pareti la tristezza di avere 25 anni e una vita già stabilita.
Che scaraventa il mio piatto di pasta rossa verso il basso, verso un pavimento che avrà visto tante lacrime in questi anni.
Lui non interviene in nessuna conversazione.
Chissà cos'ha nel cervello. Quali pensieri escono dallo sguardo vuoto che mi riserva ogni volta che apro bocca.
Io sorrido, poco. Ma è solo per non gridare.
Lei la conosco da sempre. Al mio primo ingresso a scuola vidi il suo viso. Ed è stampato nella mia testa nitidamente. Un'immagine chiara e pulita, con poca luce ma viva. Lei è stata la prima persona con cui ho parlato arrivata in un nuovo mondo.
Un tempo pensavo di avere in comune tutto, di starci bene, di aver attraversato con lei anni importanti che segnano i rapporti tra due persone. Ora, se la guardo vedo forse l'ombra della bambina con i capelli neri che quel primo giorno di scuola mi sorrise e mi fece sedere vicino a lei.
A volte in lui si palesa una qualche forma di socialità, parla delle sue prossime vacanze, lui che torna dal padre e dal fratello. Lui che è venuto qui a lavorare, che ha trovato casa con fatica che ha vissuto i primi anni in un appartamento con 6 persone, che ora non sa se vorrebbe sposarsi, che in fondo dammi qualcosa da bere che stasera fa caldo.
Tanto caldo che i pensieri si sciolgono e saluto tutti e due mentre mi dirigo verso casa.
Penso: - chissà se stasera parto. Chissà se c'è veramente questo destino di cui tutti si riempiono la bocca.
Forse un giorno sarò come lei, chiusa tra mura umide invecchiata prima del tempo giusto. Stretta tra braccia che sembrano catene.
Avrei voluto dirle di venire con me. Da qualsiasi parte. Non è importante dove.
Ho un segno su una mano che sembra una ferita. E' un'irritazione derivata da chissà quale motivo.
Ha una striscia chiara all'interno, i bordi rossi e la pelle irritata.
Sembra che si apra sempre di più, come la mia benevolenza verso il mondo. Che in fondo non è così male come pensavo se guardato nel giusto modo.
Il mondo deve essere bello se guardato mentre si precipita verso il centro.


sabato 14 luglio 2007

French Touch

E se Lauren non è ancora a Parigi, Parigi va da Lauren, anzi diciamo che di comune accordo fissano in Torino la città più comoda ed equidistante, Lauren indossa il solito tacco alto altissimo, una magliettina rosa e un felpino nero, Parigi invece per l'occasione ha su la tuta da astronauta e il relativo casco, e incredibile a dirsi, le sta benissimo.
Arrivo in sede di concerto sul finale dell'esibizione degli LCD Soundsystem, che tutto sommato mi sarebbe piaciuto vedere, fosse solo per sentire dal vivo quel singolo sciagurato di due anni fa col martellante ritornello "Daft Punk is playing at my house", oggi quantomai appropriato e didascalico.
Io e la mia carissima amica indigena, che nell'universo di questo blog voglio chiamare Vanden, eravamo in attesa, un'attesa pudica anche se urgente, e oltre a aver scroccato tiri di sigarette esilaranti a tutti i possibili fumatori circostanti, ci siamo rivolte la parola solo quando lei mi rimproverava perchè , come una demente, stavo girata all'indietro in attesa di veder sbucare la testa di Timothy Price, con il quale avevo fissato di incontrarci - o almeno credevo di aver fissato- una volta arrivati entrambi alla Pellerina.
Appurato che mister Price ha desistito, e che posso anche smettere di sbattermi a cercar con gli occhi suoi eventuali replicanti, mi dedico ai francesi. Le vibrazioni nel torace , il sudore che si mescola a quello altrui [poco in verità, serata torinese freschina], e ballare via tutto, mi rendo conto che l'erbetticchia di poco prima è stata un po' assassina, e ballo via tutto, mentre ballo rido e restano in testa solo le volte migliori , le occasioni che non ho perso, i volti che amo, ed è un'ora e quaranta ma sembra una manciata di minuti, Technologic è un rosario di imperativi che non ti molla un secondo e risuona in ogni angolo del corpo, mentre la senti, l'adrenalina , dallla testa passare alla clavicola, poi scendere di corsa lungo la spina dorsale , raggiungere il bacino, prima un'anca e poi l'altra, giù in caduta libera alle ginocchia, e poi alle punte dei piedi , e di nuovo ,
da capo:
View it, coat it, jam - unlock it,
Surf it, scroll it, pose it, click it,
Cross it, crack it, twitch - update it,
Name it, rate it, tune it, print it,
Scan it, send it, fax - rename it
Touch it, bring it, obey it, watch it,
Turn it, leave it, stop - format it,
Rollin' e Scratchin' fa muovere braccia gambe culo anche teste di 50.000 persone [secondo me qualcosa meno, facciamo metà più un quarto di 50.000, e ci siamo, forse] , quando finisce , le luci si rialzano sul pubblico, io sono ancora su di giri, il rilascio graduale di endorfine che mi accompagna fino al termine dei live migliori, non mi molla.
Così mi incaponisco nel chiamare Price, perchè poi non mi capita spesso di essere leggera e serena come adesso, quindi insisto, sarebbe bello vedersi ora che sono così felice di stare al mondo.
La verità poi è che siamo tanto diversi, io trovavo doveroso vederci , visto che una volta tanto non avevamo miliardi di chilometri di mezzo , ed ero creditrice di un abbraccio, lui aveva evidentemente di meglio da fare.
E' che non lo trovo possibile come modo di pensare , penso spesso che potrei essere morta domani, potrei essere via, potremmo non vederci mai più, o simili, e non riferito nello specifico a mister Price, ma in generale, in generale ho fame di stare al mondo e fare quanto più posso; pertanto, la volta che capita di vederci fortuitamente, a me sembra doveroso. Ma appunto, i livelli di affezione sono diversi per ciascuno, prendiamo atto di quelli di Timothy verso la sottoscritta e regoliamoci di conseguenza.
Incorro sempre in questi idiotissimi errori di valutazione, e poi ci resto male solo io.
Ma sarò idiota?
Dopotutto però è la sola delusione in tre giorni torinesi davvero splendidi, Vanden è davvero una persona carissima, e mi piace dividere con lei pranzo cena letto silenzi canne sorrisi infamate pensieri e chiacchiere con gli sconosciuti, Torino mi abbraccia ogni volta che scendo dal treno, e per tre giorni mi dimentico di tutti i miei mali, e penso una volta di più che io , con la mia vita scassata e rattoppata, sono felicissima di stare al mondo, e non provo manco mezzo grammo di vergogna per la semplicità e la scontatezza di questo pensiero , penso alla splendida Elle, vista per dieci minuti alla stazione di milano, a Chloe che non è venuta perchè è mongola, come le ho detto a più riprese, a Jamie che combina casini e ora dovrebbe finirla, penso a tutti quelli che vorrei con me, a vedere sto spettacolo unico.
Poi mi rendo tragicamente conto che un buon 70% del mio patrimonio emotivo , è teso verso Hans, che invece di morire dignitosamente al margine della carreggiata come tutti si auspicavano, continua a scrivermi messaggi in orari impossibili, e io non so evitare di rispondergli.
Non va bene, non va affatto bene, Lauren. Pessima.
Però poi se tornando in giù passo proprio dalla costa ligure, come faccio a evitare di pensarci, sentiamo, care le mie biasimatrici di professione, come faccio?
One more time, we're gonna celebrate.


POSTILLA DALL'AGENDINA DEL CHI CAZZO SE NE FREGA:
[Ah, se per caso trovaste in giro , che so, negli angoli quando spazzate o nascosto sotto qualche stoino, il mio interesse per il sesso , ditegli che lo aspetto qui, perchè possa ritornare tale, sta casa 'spietta a lui.]

mercoledì 11 luglio 2007

Blu soffocare


In una vita intera quanti respiri facciamo?

Deve essere brutto non respirare più. La gola che si serra, gli occhi che iniziano a gonfiarsi e lacrimare, le mani e i piedi che diventano sempre più freddi e blu, e poi tutta la tua pelle diventa blu, le labbra diventano blu e sei sempre più freddo e la testa inizia a confondersi e poi a oscurarsi e poi è buio...
Come finisce una vita, così come è iniziata, in un attimo. Che esci di lì, da quel buco caldo e sicuro, e un po' blu sei, e sicuramente è freddo in quel mondo di fuori che non te l'aspettavi nemmeno ma c'era.
Su un monitor sono solo numeri che decrescono vertiginosamente, ed ogni volta è un suono violento che ti entra nelle orecchie e nel sangue, il suono di un numero che corrisponde al suono di un respiro che non fai, che corrisponde al valore della tua saturazione dell'ossigeno per l'emoglobina, che equivale a dire che se non respiri non c'è apporto di ossigeno nel sangue e questo si satura di anidride carbonica e tu diventi blu. Il valore ideale della saturazione è del 100%, questo avviene quando sei in perfetta salute, quando respiri bene, gli scambi gassosi avvengono correttamente perchè tu stai respirando e non ci sono ostacoli al flusso del tuo sangue verso i polmoni. Diciamo che se fumi la tua saturazione resta comunque alta, intorno al 97, 98%. Se hai una malattia respiratoria i valori accettabili di saturazione si aggirano attorno al 95%. Per un adulto valori al di sotto del 90% non sono fisiologici e valori molto inferiori non sono compatibili con la vita.
Per un neonato questi valori sono molto diversi, tendono ad oscillare più rapidamente e a tornare facilmente a valori accettabili senza lasciare nella maggior parte dei casi danni permanenti. Questo non vale per l'adulto, che se resta anche solo per pochi minuti senza ossigeno a livello cerebrale riporterà quasi sicuramente danni neurologici. Da questo punto di vista un neonato di pochi etti è molto più resistente di un adulto di settanta chili. La faccenda cambia completamente se si intende lasciare il neonato senza ossigeno per molti, molti minuti. Il neonato si dimenerà, smanierà alla ricerca dell'ossigeno che non riesce ad ottenere ( la cosiddetta fame d'aria ), le sue mani inizieranno a freddarsi, la sua pelle a diventare più chiara. E poi quel suono forte del monitor e non guardi più quel bambino ma il numero che appare sul monitor. E' 78%, 71, 67, 56, 43, 40, 34, 31, 29, 24, 22, poi 17, 12, 7 poi una linea retta con un cuore che ancora batte. Le sue manine sono così fredde che il sensore attaccato al dito è incapace di captare il segnale o forse non vuole capacitarsene, come del resto il tuo paio di occhi. Poi di colpo il tubo va al posto giusto, i vasi iniziano a riperfondersi, l'ossigeno a nutrire le cellule. Sei vivo. Chissenenfrega se ti sei fottuto un milione di neuroni, il 27 mi pagano lo stesso. Chiccazzosenefrega se un medico non è in grado di salvarti la vita in cinque minuti, basta che alla fine della notte li riconti tutti e il conto torna, otto erano ed otto sono, tutti vivi no?
Non sono altro che numeri. Numeri di letto.

domenica 8 luglio 2007

ORA


Ho sempre pensato che il dolore fosse una delle cose più soggettive al mondo.
Come avere la schiena spezzata e non riuscire a spiegare a nessuno cosa si sente. Come avere un cuore che non batte e sembrare ancora vivi.
Solo perché la pelle è ancora rosa. Solo perché si respira ancora.
Come piangere in mezzo ad un mondo che si scioglie ma che sorride.
Come avere davanti luci e colori e desiderare solo il bianco.
A volte penso che potrei essere più felice di ora ma che non saprei sinceramente cosa farmene. Che potrei sprecarla con il rimpianto di averla posseduta anche solo per un momento.
E lo trovo spaventoso.
Doloroso come quella schiena spezzata, che si curva sul peso degli anni ma non trova parole per essere spiegata.
Ho sempre pensato che in questo mondo che muore ci sia qualcosa per risolvermi.
Penso che non lo trovo perché non lo cerco abbastanza, che possa essere anche dietro di me, ma se mi giro vedo ancora quei colori che non diventano bianco.
Vedo che oggi ho le mani sporche e un muro non più bianco, che ho la testa più sgombra e la sensazioni che ogni giorno non potrà essere così.
Ho appoggiato la mano e un pezzo di quella sensazione è rimasta attaccata, disegnata da un posto all'altro, da un muro a una mano. Togliere dal muro parte di quello che era uscito dalla mia testa. Vorrei un prato per sdraiarmi, per dare pace alla schiena rotta, per sentire che sotto si muove qualcosa che continua a farlo indipendentemente da me.
Che nessuno in fondo è così indispensabile.
E lo trovo consolatorio.

sabato 7 luglio 2007

QUESTO NON E' UN POST DI AUGURI

Sott. "tanto non serve a nulla (sovente è anche tristemente adulatorio)".*
Sott. al sott. "ti è arrivato?"

Dopo ben due settimane di pausa da questi ed altri schermi sono tornata.
In realtà il motivo è assai semplice. Scrissi una cosa, non fu capita, mi deprimetti e finii per ritenere che scrivere per non essere capiti è cosa assai inutile. **
Sintetizzando il percorso, arrivai al finale della storia consapevole che erano ben altri i problemi.
Per cui eccomi di nuovo.

Il titolo vero del post è: PENSARE LIBERAMENTE PER NON ESSERE COMPRESI
sott. "beh, dopo 8 rhum e coca mi pare normale. (Voci del popolo: abbi pietà di noi)."

Joel e Ethan Coen sono due registi americani. Il loro miglior film a mio avviso è "l'uomo che non c'era". Girato in modo meraviglioso che quasi ci si può commuovere per quanto è fatto bene.
Il film parla di un tizio, interpretato da Billy Bob Thorton che ha una vita normale, regolare, bidimensionale. E' così piatto che viene da chiedersi se abbia mai pensato sul serio di poter fare altro.
Ha un lavoro, una moglie che lo tradisce e una cittadina che lo contorna.
Un giorno succede una cosa, arriva l'elemento di rottura e il caro Ed, il protagonista, cambia vita.
C'è una specie di sentimento, di emozione, che percorre l'intero film. La sensazione è quella per cui per tutti noi ci sia un destino tracciato, una serie di situazioni già decise e destinate ad accadere sia che noi lo vogliamo o meno. Come se non potessimo fare altro.
Da buona atea quale sono nel destino non ci credo. Così mi trovo ad avere sulle mie spalle l'intera responsabilità delle mie azioni, quando vorrei una religione o una qualsiasi credenza che mi scrollasse il grosso fardello della piena responsabilità del mio destino.
Ho sempre pensato che la futura vedova in lacrime accanto al letto del marito morente abbia sempre la speranza che qualcosa possa cambiare perché si mette a pregare o chiede a qualcuno di aiutarla. Ho sempre pensato che non sarò mai una futura vedova con speranza.***
All'età di 12 anni feci la cresima. Mio padre mi disse che potevo decidere. Io gli chiesi perché? Perché mi dava tutta questa libertà, non poteva decidere lui al mio posto? Fare l'adulto?
Lui mi disse che per il resto avevano deciso loro, in ordine, battesimo e comunione e che ora, raggiunto un certo livello di maturità, potevo decidere da sola.
E aggiunse: "e poi si vede che non ci credi".
Si vede?
In realtà avrei voluto che la gente del mio paesino, cattolico e ben osservante e con un senso comunitario ai massimi livelli, pensasse che fossi uguale a loro.
E così risposi a mio padre che non era vero, che io ci credevo, come tutte le mie amiche, come tutti i miei compagni di scuola, come tutto il mio paese.
Nella mia classe alle medie nessuno non fece la cresima e io non volevo certo essere l'unica.
Poi, per circa un anno, mi impegnai seriamente nella ricerca della mia fede perduta. Andavo in chiesa la domenica, cercavo di pensare che potevo crederci anche io e mi mettevo ad ascoltare con impegno la predica del prete pensando di poter trovare parole e risposte o almeno un po’ di quella grandiosa fede che sembravano avere tutti.
Invece non trovai nulla, solo parole prestampate e frasi belle da essere sentite. Ma poi dopo anni mi chiesi, ma qualcuno ascolta veramente? E se lo fanno, perché nessuno interrompe il prete per dirgli che certe volte dice delle assurdità pazzesche?
In realtà poi capii che la fede, nel senso ampio del termine, non te la regala nessuno. Nemmeno anni di costrizione cattolica, nemmeno la libertà di poter scegliere cosa fare, nemmeno tutte le religioni disponibili nell'ampio catalogo dell'incertezza umana.
Mi piace a volte pensare che ci sia già qualcosa di scritto, di deciso, su cui non ho nessun potere, per togliere potere al cammino decisionale della mia vita. Certo se avessi potuto fare quello ma evidentemente non era destino. A volte penso che se ci credessi sarebbe più semplice, più facile e a volte penso che la vita in bianco e nero per brevi momenti non sia nemmeno così male. Se poi è il bianco e nero di quel film, così fatto bene e così bello non deve essere affatto male.
John Lennon morì nel 1980 per mano di un fanatico.
Morì sotto la casa in cui Roman Polanski aveva girato Rosemary's Baby.
La moglie di Roman Polansky, Sharon Tate, fu uccisa nel 1969 nella loro villa a Bel Air, in California. Per l'omicidio furono ritenute responsabili delle ragazze appartenti ad una comunità Hippy fondata da Charles Manson.
Il giorno seguente il massacro nella villa, secondo l'accusa, Manson ordinò un nuovo massacro. I coniugi LaBianca morirono entrambi. La moglie si chiamava Rosemary.
Charles Manson, secondo il procuratore distrettuale che lo accusava durante il processo, era ossessionato dai Beatles. Riteneva che fossero gli angeli dell'apocalisse e che lui fosse il quinto angelo che avrebbe dato via alla vera fine del mondo. Helter Skelter era la chiamata con cui l'apocalisse avrebbe avuto inizio.
Vorrei pensare che non ci sia stato un destino per le persone di questa storiella ma ora mi sembra pure troppo difficile crederlo.
Odio l'estate.
Ho appena vinto una gara di cuba libre. 8 . Solo perché gareggiavo con schiappe allucinanti e forse perché gli ultimi tre erano con pochissimo rhum perché mi piace mettermi d'accordo con il barista per vincere.
Sono vecchia per questi rituali da adolescente post maturità, per la festa di laurea di A. a cui dovrei andare domani, cioè oggi vista l'ora, per togliermi dalla testa Victor che ora non mi vuole. Nemmeno dopo 5 bicchieri. Soprattutto dopo 5 bicchieri, ha detto lui.
"Abbassa il finestrino quando sei in macchina." Vedete, se vuole è anche premuroso. Gli avrei tirato con gusto un calcio ma mi sono limitata a sorridere e salire sulla macchina della mia amica.
Non rileggo, tanto non ci riesco, grazie correttore di word tu sì che sei uno in cui si può sempre credere.
Come sinonimo alla parola "religione", il magico uomo di word ci regala le seguenti prospettive: culto, pietà, religiosità, fede, credenza, confessione, credo, mistica.

Non trovate singolare che abbia scelto proprio pietà come secondo sinonimo?

* Auguri comunque. E per regalo virtuale ecco una bella cartolina degna di essere esposta nei maggiori musei del mondo. Non la trovi bellissima? Ero indecisa fra questa, il culo con il bicchiere in mezzo che ti dice una cosa tipo: "brindiamo insieme" e il cane con la rosa in bocca. Ho scelto questa solo per i cappellini e lo sfondo ultracolorato.
** Preciso. La mela è un chiaro simbolo biblico. Oltre che essere un simbolo di dominio. Il desiderio domina sull'uomo che dopo l'errore più grande pensa di poter dominare sul mondo. Commettendo errori uno dopo l'altro, come ci dice l'effetto domino.
*** giuro che dopo questa non parlo più di morte.

lunedì 2 luglio 2007

Where is my mind?

Felice?
No.
Serena?
Boh.
Soddisfatta?
Passo.
Si approssima il mio compleanno.
Anzi , per dirla con la mia genitrice insolente, prestò entrerò nel 27esimo anno di età, anche se comunemente usa dire compio 26 anni, e non FINISCO 26 anni.
Siamo già a luglio, quest'anno, e luglio è un mese che adoro, assieme a novembre e maggio è nella mia top three. Top Three, seee. Come insisto a parlar giovane.
In realtà questa storia del tempo che passa, la realizzo solo a tratti e solo a folate riesce a darmi pensiero. Però la penso spesso. Sarà che di recente il "cadavere sull'autostrada" , come Jamie ha definito Hans, ha detto una cosa inopportuna e dolorosa come "Forse in un'altra vita..."
Dico io: 'forse in un'altra vita' un cazzo! Ce n'è una sola , spendibile, hai in mano un buono solo, e non sai neppure quanti giri di giostra hai a disposizione, cosa diavolo ti dice il cervello per poter pensare di rinunciare a qualcosa che ti piace/vorresti/ami/sceglieresti, se tieni presenti gli elementi di cui sopra? La mancanza di coraggio, la mancanza di scelta, la convinzione che diverso sarebbe anche possibile [cit./1], ma che ne hai paura.
Quanta gente c'è così , al mondo?
Quanto poco la sopporto?
Quanto le somiglio, anche se non lo ammetto?
Poi i bilanci si fanno l'ultimo dell'anno, non per il compleanno, porca miseria, per il compleanno si finisce solo preda di tristezze infinite, pensando a cosa non si è riusciti ad ottenere e mai a cosa si è raggiunto, o almeno così sono io e i miei mille e mille bicchieri mezzi vuoti.
Cosa vorrei?
Vediamo.
- un mare blu intenso, blu gioia, da tenere in tasca e tirar fuori spesso
- una pelle splendida per non passar più notti nero cristallo [cit./2]
- un po' di grazia da sostituire alla mia innata goffaggine
- un corso di femminilizzazione che dimostri agli uomini che ho bisogno di loro per cui io debba cessare di far tutto quel che faccio in maniera indipendente, ma mi dia alla sana e rosa corrente di pensiero del "Caro, mi aiuti a...?"
- un pulmino Westfalia con cui girar l'Europa
- un mese di tempo spesato per girare l'Europa col pulmino di cui sopra
- una famiglia normale, sana e lontana abbastanza da non interferire con la mia vita sempre e comunque
- smettere di dire sempre Io prima di Tu, ma ci sto lavorando su, vi giuro
- un uomo che mi dedichi questa, e va benissimo anche se non ha idea di chi l'abbia scritta

Colei che dorme nel mio letto
e spartisce l'aria della mia camera
può giocarsi a dadi sul tavolo
il cielo stesso della mia mente .
Quest'ultimo desiderio è da considerarsi equipollente al desiderio riserva:
- poter avere a mia disposizione -illimitata nelle modalità- per ore 24 il modello della Julipet, onde ritrovare lo slancio della libido che da un tot tempo è all'impasse :
Troppo chiedere, vero?