INIBITORI SELETTIVI DELLA RICAPTAZIONE DELLA SEROTONINA

In realtà sono due settimane che vado costantemente al cinema. Sono andata a vedere film che oscillano tra il meglio e il peggio della stagione.
Allora il film è bello, non è il gran pippone romantico che ci vogliono far credere che sia.
Sono andata in un cinema a Milano in Largo Augusto in cui c'è una sala sola ed è pieno di vecchi. Di vecchi nel senso fisico del termine ma non solo, perchè ovunque c'è quell'odore di vecchio che ristagna e che ti fa sembrare terribilmente giovane.
Sulle poltrone, sulle scale, nel corridoio, ovunque.
C'è una scena nel film, che non racconterò e per il quale non esprimerò giudizi, che è un lungo piano sequenza ad altezza uomo, segue un lungo sguardo sul terrore, sull'atrocità rappresentata della guerra, sulla speranza e sulla paura.
L'inquadratura è talmente lunga e bella che viene da chiedersi quando finirà.
Il cuore mi si è letteralmente allargato e credo di averlo sentito dentro, di aver sgranato gli occhi implorando che non finisse mai, quella ripresa sulla spiaggia.
E poi quando è finita, quando lui si è girato e si è lasciato tutto alle spalle ho sospirato, ho guardato la mia amica e insieme abbiamo detto: che bello.
E poi ho pensato che lo stavamo dicendo davanti a immagini che rappresentevano una delle cose più terribili al mondo, ma il pensiero mi ha sfiorato per poco.
Uscendo per strada, come mi succede ogni volta che guardo un film, non avevo voglia di parlare.
La condivisione, di qualsiasi aspetto della mia vita, mi riesce difficile in momenti come questo. Pervasa ancora dalle sensazioni del film che ho visto, che si tratti di un capolavoro o del film di topolino (che io ho sempre detestato).
Allora mi sono ricordata che poche cose come andare al cinema mi rendono realmente felice e che probabilmente lo sapevo fin da piccola.
Da piccola avevo una passione viscerale per due film:
- i dieci comandamenti di Cecil B. DeMille
- il gigante di George Stevens
Il primo lo avevo registrato alla tv in due cassette, il secondo invece lo avevano regalato a mio padre.
Dei dieci comandamenti mi piaceva di più la seconda parte, quando arrivava il castigo di dio, le piaghe, la morte, la fuga dall'oppressore e la vendetta.
C'era una scena in cui l'acqua si colorava di sangue e io adoravo quel momento, ne rimanevo stupita ogni volta.
Che cosa mi piacesse così profondamente del gigante non l'ho mai capito bene. Credo più di tutto la parte iniziale perchè Elizabeth Taylor ispirava una tale serenità che mi rendeva tranquilla.
Per il resto poi non vedo quei film, soprattutto i dieci comandamenti da un sacco di tempo. Ho perso quelle cassette nei traslochi della mia famiglia, nell'interesse per altri film e nella fortuna di non essermi fermata solo a quei due.
In tutti i ragazzi che ho frequentato nella mia vita, amici e non solo, la prova cinema l'hanno superata solo in due.
Entrambi vivono a Londra.
Uno non fa parte della mia vita da un sacco di tempo, l'altro ne ha fatto parte talmente tanto che ha deciso di prendersi una pausa.
Dice che guardare i film in inglese è un altro mondo, dice che il nostro film preferito, che è francese, non è adatto a nessuna delle nazioni in cui viviamo.
Dice che dovremmo imparare il francese, correre su una strada, girare quando tutti hanno smesso di seguirci, arrivare al mare e aspettare che la telecamera si sposti sul nostro sguardo.
"Camminando sotto la pioggia si chiese per l'ennesima volta perchè tutto quel grigio lo contornava.
Entrando nel cinema chiuse gli occhi profondamente quando sentì la prima nota di quella canzone e stette immobile nella scomoda poltrona a sentire entrare dentro ogni singola nota.
Le immagini scorrevano veloci sul viso pallido di chi non ha più niente da dire, di chi lascia che siano gli altri a parlare per lui.
Al quinto minuto si alzò e sentendosi diverso mise un piede dietro l'altro per uscire dal cinema, per tornare nella strada grigia di chi non ha più bisogno di avere un volto.
La giacca nera zuppa di pioggia, le mani umide ancorate all'asta dell'ombrello, unico riparo possibile da un mondo che non sembrava più giusto.
- Non posso essere altro che me stesso.
Sentenziò a bassa voce mentre un piede entrava nell'acqua depositata sull'asfalto da un cielo troppo pieno per restare ancora tutto in alto.
Così scostò l'ombrello dal volto e alzando gli occhi in un lento movimento della testa diresse la sua espressione al cielo.
Mentre la pioggia bagnava il viso, gli occhi si chiudevano e il corpo si rilassava in un abbraccio che sapeva solo di consolazione. Con quello che lo circondava, con ciò che aveva sempre odiato.
- Oggi piove e io vorrei scivolare con quest’acqua, scivolare in un tombino per poi non riemergere mai più.
Consapevole di non poter scivolare su quell'asflalto ma di dover restare immobile su una strada porosa che ghiaccia d'inverno e si sciogle d'estate."